Link su Nicola Badaloni per chi vuole sapere di più:
http://sdp.comune.livorno.it/opac/archivio_news/archivio_26.html
Addio
a Nicola Badaloni, uomo politico e maestro di filosofia
Il 20 gennaio è scomparso Nicola Badaloni. La sua morte ha suscitato un grande cordoglio nei cittadini di Livorno, di cui era stato l’amato sindaco «filosofo» negli anni difficili della ricostruzione, nel mondo della cultura, dell’Università e in quello della politica che lo avevano visto, da sempre, attivo protagonista. Lo ricorda l’amico e allievo Giuliano Campioni.
Il giorno del suo compleanno ancora una volta, quindi, avevamo
incontrato il cuore di Badaloni nei due momenti tra loro strettamente legati:
quello di uomo pubblico, impegnato nella politica, e quello dello studioso e
maestro di più generazioni. E questo emergeva anche nella cerimonia funebre,
nella sala del Consiglio Comunale di Livorno che ha visto la partecipazione di
esponenti della politica nazionale, regionale e locale. Giorgio Napolitano,
nella sua commossa rievocazione, ha ricordato il compagno con cui ha condiviso
molti anni nel Comitato centrale del PCI, l’animatore, come presidente
dell’Istituto Gramsci nazionale, di convegni e iniziative, e l’amico di
tempi in cui politica e cultura s’intrecciavano fortemente. “Ho trovato - ha
detto Napolitano - alcuni fogli manoscritti dove esortava gli intellettuali
comunisti a respingere gli atteggiamenti cortigiani e ricordava che’evitare le
discussioni è solo un segno della propria debolezza”. Accanto ai politici un
gran numero di colleghi, allievi e docenti dell’Università e della Scuola
Normale di Pisa.
Livorno ha un ruolo importante per Badaloni. Lì anche la lezione
dell’insegnante di liceo Arturo Massolo che, nelle conversazioni con il
giovane Badaloni, affrontava con chiarezza antifascista, insieme con i temi
della Storicità della metafisica che andava scrivendo, temi politici e sociali
di drammatica attualità. Era, quello, il primo incontro con la problematica
filosofica di una storicità liberata dai vincoli della metodologia crociana e
dal peso dello “spirito assolutamente creatore” di Gentile. L’antifascismo
di Badaloni non fu però solo una scelta culturale: “la mia scuola di
antifascismo fu a Livorno […] partecipavo a riunioni dei miei amici iscritti
al partito comunista e mi sentivo partecipe di un’aura cospiratoria”
dichiara nella bella intervista “Filosofia, marxismo, impegno politico”
raccolta da Vittoria Franco nel maggio 1998 (“Iride” 26, 1999). A Livorno si
sviluppava la sua attività politica e culturale degli anni ‘50 in una
prospettiva internazionale ma anche nel “nido delle aquile” (l’ultimo
piano della federazione del PCI di Corso Amedeo) a contatto con altri giovani e
discutendo di tutto: cinema, spettacolo, storia del movimento operaio, politica.
La Livorno che gli apparteneva era la città “porto franco”: città di
immigrazione e di tolleranza, città di movimento, di incontri, crocevia
culturale e soprattutto città proletaria, di ceti popolari legati alle attività
del porto. Significativamente durante il periodo in cui fu sindaco, accanto agli
studi sugli autori del Rinascimento e su Vico, conduceva puntuali e
pionieristiche indagini sulla storia di Livorno nell’Ottocento. Studiare i
movimenti molecolari, economici e sociali, i rapporti fra condizioni e rivolte
popolari con l’impegno di intellettuali come Guerrazzi o Carlo Bini, era un
modo per ritrovare la genesi storica di fenomeni e situazioni che andava a
incontrare anche come amministratore e, insieme, per evidenziarne il significato
all’interno della storia italiana ed europea.
Nel 1941 Badaloni si iscrisse alla facoltà di Lettere e filosofia
dell’Università di Pisa, dove ha poi sempre insegnato a partire dall’anno
1957-58. A Pisa si è formato e soprattutto ha formato intere generazioni: in
dirigenti politici, amministratori, studiosi, insegnanti, è unanime il
riconoscimento di un incontro importante, decisivo nella loro vita. Badaloni è
stato, in anni complessi, dal 1968 al 1979, autorevole preside della facoltà,
anche se esercitava questo ruolo con sufficiente distanza e ironia.
Nell’intervista a Vittoria Franco, ricorda di avere impedito che fosse
cancellata una vivace e sovversiva pittura murale frutto di una occupazione:
“Però io mi divertivo a mantenere l’affresco e a fare lezione in
quell’aula con quel tanto di ironia che è teorizzato da Rorty. Una componente
ironica è necessaria per poter affrontare la dura resistenza delle cose”. Il
preside “comunista” non ebbe mai compiacenza superficiale verso i movimenti:
senza indulgere, senza esorcismi né lenocinii, ne comprese prima di altri il
senso di rinnovamento e di liberazione dell’individuo.
A Pisa Badaloni incontrò la lezione di Guido Calogero e della sua Scuola
dell’uomo (“un libro bellissimo”, sorta d’introduzione
all’impegno etico-politico e alla libertà), il cui insegnamento fu seguito
solo per pochi mesi perché interrotto dall’arresto e dal confino. Il
successore fu Cesare Luporini: con lui il rapporto di militanza e il confronto
politico e teorico rimarranno sempre un punto fermo. Badaloni iniziò allora,
accanto agli studi di storiografia filosofica, un’intensa riflessione sul
significato della ricerca storica e della filosofia, che confluirà nel volume
del 1962 Marxismo come storicismo . Sono evidenti il rifiuto delle
diverse riduzioni soggettivistiche della ricerca storica, la critica di ogni
partenogenesi delle idee, l’ostilità verso semplificazione e dogmatismo, la
lontananza da schemi prefissati e criteri valutativi preformati. Le proposte
dello storicismo di impronta gramsciana vengono intese come critica alla
tentazione di stabilire rapporti tra universalizzazione e realtà storiche che
non siano persuasivamente documentabili: “la storia della filosofia è
veramente storia fatta su documenti, su nessi reali accertabili e non
idealizzazione fatta sulle analogie” scrive nel saggio “Filosofia, storia e
storia della filosofia nel marxismo” (1964). Ed è significativo che, in punti
cruciali, il riferimento diretto sia a Garin e alla sua “necessità di
mantenersi saldamente ancorati alla filologia”. Negli ultimi anni a Badaloni
è sembrato riduttivo il termine “storicismo”, da lui stesso usato, in
quanto il suo storicismo era radicale storicità consapevole di sé, strumento
per conoscere i condizionamenti materiali e creare spazi di libertà: “è
infatti paradossale (anche se il paradosso è voluto e ha un valore
provocatorio) definire storicismo una concezione che, come quella che io
professavo allora e tuttora professo, presuppone una stratificazione di livelli
della realtà, che è testimoniata dal nostro stesso corpo e dal suo organo
principale, che è il cervello. Infatti, è non solo pretenzioso, ma anche
pericolosamente riduttivo, puntare solo sulla componente che appare alla
superficie e lasciare nell’ombra gli elementi fondanti. Persino la più
avveduta azione storico-politica di oggi […] ha come suo presupposto, tuttavia
sempre operante, rudimentali istinti di autodifesa, che la storia via via ha
arricchito di bisogni e di impulsi, che trascendono tale struttura elementare”
(in Amici che consentono e dissentono del 2001). È questo il senso di
un’intensa ricerca che, allargandosi a Freud e a Nietzsche, ha tenuto conto
sempre più del peso di condizionamenti materiali, delle forze dell’inconscio
e che ha sentito l’esigenza di “esplicitare le contraddizioni su piani
diversi perché diversi sono i livelli della struttura temporale della nostra
esistenza, fatta di condizionatezza naturale, di tradizioni, di passato, di
necessità del presente ed anche di proiezioni”.
Nicola Badaloni nel dicembre scorso ha licenziato un nuovo volume (Laici
credenti all’alba del moderno. La linea Herbert-Vico , Le Monnier,
Firenze) a cui ha lavorato con passione negli ultimi anni, in condizioni
difficili. L’affinità tra l’autore del De Veritate e quello della Scienza
Nuova è nell’idea, impregnata di laicità, di provvidenza-natura.
Variano le modalità in cui queste affinità si presentano nei rispettivi
contesti, più specificamente dipendenti dalla natura e da aspirazioni
metafisico-religiose in Herbert, più intensamente interne alla storia e al suo
sviluppo sociale e giuridico in Vico. La sorte ha voluto che con quest’ultimo
scritto Badaloni si collegasse alle sue prime ricerche e pubblicazioni (1946)
che avevano trovato poi sviluppo nell’Introduzione a G. B. Vico (1961)
e infine nel volume della collana “I filosofi” di Laterza (1984). Difficile
indicare anche le linee più significative della sua ricerca senza sacrificarne
alcune: ricordo il libro su Campanella del 1965 e quello su Antonio Conti del
1968, i saggi sul galileismo in Italia, la storia della cultura italiana tra
illuminismo e romanticismo nella Storia d’Italia Einaudi, del 1973.
Badaloni disegna una linea di sviluppo del pensiero moderno fino a Hegel,
Feuerbach e agli autori del marxismo: Marx, Engels, Labriola, Gramsci. A questi
autori, oltre a numerosi saggi, ha dedicato monografie storiche e ricerche
teoriche tra cui: Per il comunismo. Questioni di teoria (1972), Il
marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione politica (1975), in cui
sottolinea l’originalità del marxismo antideterminista del filosofo/politico
sardo, Dialettica del capitale del 1980 (“l’opera che mi ha
appassionato di più è il libro su Marx in cui mettevo in discussione le forme
di sottomissione reale e formale al capitale”), Gramsci: la filosofia
della prassi (1981), Forme della politica e teorie del cambiamento.
Scritti e polemiche 1962-1981 (1982), Il problema dell’immanenza
nella filosofia politica di Antonio Gramsci (1988). L’indagine e la
definizione storica del ruolo di Badaloni nella cultura e nella politica della
seconda metà del Novecento, saranno opera di più specialisti. Io che ho
iniziato un cammino mai interrotto con “Marco” nel lontano autunno del 1964,
non ho affrontato da specialista nessuna delle molte tematiche da lui studiate
eppure ho sempre sentito e sento Badaloni come un mio esemplare maestro.
Credo che la sua prima lezione, per me, sia in quel senso della storia
che, proprio perché lontano da ogni prevaricazione, significa conoscenza già
capace di andare verso il cambiamento. Un’esperienza che si contrappone, oltre
che alla linearità e sicurezza di un processo cumulativo, anche al voluttuoso
dilettantismo proprio “dell’ozioso raffinato nel giardino del sapere” che
ha bisogno della storia per riempire il vuoto interiore. Qui mi piace ricordare
la forza della visione positiva di “Marco” Badaloni, la viva passionalità
lontana da ogni indulgenza verso la crisi anche nei momenti più duri, e da
ultimo, il suo senso, pieno, di una felicità fisica, quando si concedeva lunghe
nuotate nel suo mare, finché gli è stato possibile.
Giuliano Campioni
Da: Athenet, n. 12 (2005).