Lo
spazio, i colori, le forme possono fare qualcosa contro un tempo che uccide la
memoria? Sì, perché di questo si tratta. La notizia nuova spazza via la
notizia vecchia e tutto si succede in una vorticosa, eccitante e desolante danza
di immagini. Viviamo in una sorta di presente che si rinnova continuamente
azzerando il passato e distruggendo il senso. E’ come se fossimo continuamente
colpiti dal nuovo e incessantemente distratti e distolti da ciò su cui avevamo
in precedenza fermato la nostra attenzione.
Ariberto
Badaloni ci fa vedere contrasti fra cielo e terra, fra cielo e mare, fra cielo e
qualcosa che potrebbe essere mare ma potrebbe anche essere terra, perché quel
che conta è il complice contrasto di colori e di forme in uno spazio che ci dà
un senso di straniamento. I visi hanno uno sguardo fisso che oscilla tra lo
smarrimento e il conformismo, ma non la donna dai lunghi capelli che sta tra due
lettori senza volto e nemmeno la violinista che suona con l’ombra. Gli
oggetti, come in molta parte dell’arte contemporanea, stanno lì non per
assicurare la raffigurazione, ma al contrario per spiazzare la rappresentazione.
Ariberto
Badaloni esprime in modo criticamente creativo la contraddizione della nostra
epoca, quella in cui il continuo mutamento delle cose, degli eventi e delle
immagini non soltanto non si oppone al conformismo, ma lo alimenta. Solo se si
scardinerà una simile potente contraddizione, forse, ci sarà speranza. Solo,
cioè, se il mutamento sarà vero mutamento e tornerà a essere ciò che
identifica la storia in quanto storia, spingendoci a guardare in noi stessi e
nel nostro passato con altri occhi.
Prof.
Alfonso Maurizio Iacono
Preside
Facoltà di Lettere e Filosofia