Chiaro segno, enigmatico effetto

La metafora della vita nel viaggio visivo di Ariberto Badaloni

Il viaggio che mi impone Ariberto Badaloni guardando le sue opere, in cui si viene spontaneamente coinvolti, quasi magicamente catapultati, è un itinerario verso l’essenza dell’arte e di me stessa.

“Ciò che dà valore al viaggio è la paura. È il fatto che, in un certo momento, siamo tanto lontani dal nostro paese…siamo colti da una paura vaga, e dal desiderio istintivo di tornare indietro, sotto la protezione delle vecchie abitudini. Questo è il più ovvio beneficio del viaggio. In quel momento siamo ansiosi, ma anche porosi, e anche un tocco lievissimo ci fa fremere fin nelle profondità dell’essere…Il viaggio che è come una scienza più grande e grave, ci riporta a noi stessi” (Camus, 1962).

Badaloni è artista che guarda alle tradizioni del passato – possiamo citare antecedenti illustri fino ad arrivare a Dalì per certe composizioni surreali e indagatorie dell’animo umano, ma anche De Chirico per certe aure atemporali – con uno sguardo nuovo, alimentato da molto lavoro, da tenacia, passione e dedizione, ma soprattutto dall’amore per il genere umano, soprattutto per la sua deriva attuale, senza mai cedere allo sconforto; un amore condiviso, è ovvio, con altri autori, siano essi scrittori che artisti, e che, in questo momento, trovo convergente con l’ultima fatica letteraria di Riccardo Nencini, L’imperfetto assoluto, libro che emoziona il mio cuore e seduce la mia mente, soprattutto per l’attenzione con cui viene saggiata la natura umana, partecipandone e dei vizi e delle virtù. Così Ariberto. La sua attenzione per la figura umana, per l’Uomo, inizia negli anni Settanta, appassionatamente, ossessivamente. Canta il viaggio laico e spirituale della donna e dell’uomo non solo sulla terra ma negli abissi dell’inconscio. Il suo tratto è felice, forte, sa imprimersi nella nostra retina e da lì ancorarsi al cuore. È un artista dal sapore salato della liquidità marina, quella in cui ama immergersi nella sua città natale, che mi ricorda un uomo dalla straordinaria curiosità, magnanimo, attento, sensibile e curioso. Un Ulisse dei nostri giorni, insomma, circondato da Proci che ne impediscono la tranquillità, ma che incuriosiscono e spingono alla lotta ogni giorno, armati del segno, del senso, del colore e della luce.

C’è un ‘quid’ indecifrabile nell’arte sapiente del maestro Badaloni, qualcosa che si cela alla terra, all’aria, a cui nessuno sfugge guardando le sue opere. Un’azione magnetica, infatti, scaturisce dalle sue immagini, così incisive, fresche, inquietanti, sincere, recondite alla mente, ma emotivamente ‘hic et nunc’. E si viene rapiti, inghiottiti in un nuovo universo, che poi è il nostro intimo, tutto da scoprire nel breve viaggio dell’esistenza umana.

Giovanna M. Carli    Critico e storico dell’arte